Una tipologia di edifici che mi ha sempre incuriosito è quella delle “ali” dei mercati, e soprattutto di quelle dei paesi di provincia. Si tratta di quelle tettoie solitamente rettangolari e contornate da archi o pilasti, che si vedono nei centri storici, sotto le quali, quasi sempre, si svolge ancora oggi qualche attività di commercio ambulante.

Alcune costanti
Di impianto semplicissimo elementare, le ali riconducono quasi all’archetipo del manufatto edilizio: la capanna primigenia. Quella che gli illuministi o gli accademici come Laugier volevano composta da piedritti, travi e capriate. Il modello un po’ mitologico del tempio greco.

Eppure monumentali, le ali hanno sempre un impatto fortissmio, quasi esagerato, sul tessuto edilizio circostante. Impatto assolutamente ricercato, come indica l’adozione quasi sistematica del sistema “tablarium”, e cioè della facciata ad archi inseriti tra paraste sovrastate da trabeazione. E’ il sistema romano degli archi di trionfo, dei teatri e del colosseo.

Fuori scala Quasi stonano nel paesaggio modesto in cui sono inserite. Sicuramente intendono nobilitarlo, sottolineando l’importante funzione a cui sono dedicate. Funzione che, spesso, non era solo quella legata al commerio, ma anche e soprattutto alle riunioni più solenni della comunità e della sua amministrazione.

Altre costanti
Architetture anonime, è quasi sempre impossibile rintracciarne il progettista. D’altra parte, date le loro caratteristiche, davvero elementari, non occorrevano diplomi per saperne tracciare il disegno. Qualsiasi buon capomastro con un po’ di esperienza era in grado di concepirle e realizzarle.

Fabbricati seriali, si somigliano un po’ tutte. Qualcuna è più elaborata, talvolta a più navate. Altre sono decisamente spartane, costituite da semplici serie di pilasti su cui si poggia un tetto a capanna. Alcune sono più pretenziose, voltate o arricchite di ornamenti. Ma la chiarezza tipologica che le contraddistingue, le apparenta così strettamente da far credere che siano uscite dalla stessa mano.

A-storiche, non presentano quasi nessuna evoluzione nel corso dei secoli. Nelle più antiche si ricorse magari ad archi a sesto acuto. In quelle di epoca tardobarocca si preferirono archi policentrici. Ma quasi mai ci si discostò da un modello fisso, da imitare più che da superare, come se si trattasse di icone.

Alcune variabili
In qualche caso, singole comunità vollero conferire alla loro ala un carattere peculiare. Soprattutto nei casi di maggior dimensione, si trovano ornamenti “fuori ordinanza”. Oppure si ricorre a un’articolazione di sezione a navate digradanti o a un’organizzazione planimetrica più complessa.

Sanfront, per esempio, esibisce un’ala a tre navate, delle quali quella centrale più alta e scandita da archi. Le navate laterali sono sorrette da semplici pilastri. Il raccordo in facciata è segnato da volute che sembrano quasi voler rimandare all’architettura religiosa.

A Cigliano si aggiunge un elegante attico con forature ovali. Permette all’edificio di raggiungere un’altezza ragguardevole senza dover slanciare troppo la misura degli archi sottostanti. Sembra che il costruttore volesse fare un po’ il verso alle “logge” a più piani viste nelle grandi città.

A Bra si sfrutta la pendenza del terreno per proporre un sistema porticato fruibile anche da sopra. La copertura a capanna è sostituita da un sistema voltato, sopra il quale si estende una lunga terrazza. Praticamente, la costruzione dell’ala è occasione per duplicare la piazza.

Barge voleva un’ala che somigliasse a un vero e proprio palazzo, o piuttosto a una villa. La doppia navata da origine a un complesso sistema di facciata, su cui si sovrappongono archi di diversa altezza, piccoli frontoni spezzati, oculi e ogni sorta di ornamenti.

Bizzarrie
A Dronero, l’antica ala sorgeva all’incrocio tra più vie. Questo aveva suggerito una forma stranamente ottagonale, caratterizzata da una curiosa volta obrellare. Doveva essere un edificio di grande importanza per la minuscola città. Lo fanno pensare le decorazioni gotiche sui pilastri e sulle nervature della volta.

Non contenti, quando, a fine settecento, gli amministratori della comunià dovettero far consolidare la loro ala, la vollero ulteriormente nobilitare. Vi afficancarono una sorta di tempietto pienamente barocco, la cui unica funzione era di dotare la piazza di un orologio.

A Savigliano, l’ala del foro boario diventa quasi un vero e proprio palazzo. Articolata in volumi diversi, presenta parti piene e vuote, porticate e finetrate, ornamenti molto elaborati. Non a caso è stata agevolmente trasformata in una sala polivalente, apponendo serramenti vetrati alle arcature.

Il modello della loggia
In alcuni casi, all’ala del mercato si sovrapponeva una vera e propria sala, che serviva ad amministrare la giustizia e la fiscalità. L’edificio a due piani così generato prese il nome di “loggia”, ed ebbe fortuna soprattutto fuori Piemonte. Pensiamo alla loggia per antonomasia, quella di Brescia, o ai grandi palazzi della Ragione di Padova e di Vicenza.

In Piemonte, la loggia più antica pervenutaci è quella di Staffarda, un’abbazia molto ricca e con possedimenti estesi, che decise di dotarsi di un edificio di questo tipo addirittura all’interno del proprio perimetro recintato. Sta a fianco della chiesa, in faccia all’ingresso del complesso.

Allo stesso tipo architettonico si può ascrivere la loggia municipale di Sanfront. E’ un piccolo edificio barocco il cui piano terreno è quasi interamente occupato da un vasto portico.
Le ali in ferro
Anche in Piemonte, sul limitare del XX secolo, compaiono alcune ali con strutture leggere. La più famosa è senz’altro quella di Porta Palazzo a Torino: la tettoia dell’orologio

Notevole anche la tettoia del mercato di Saluzzo, composta da tre capanne di cui quella centrale più alta. All’esterno, le due capanne laterali proseguono in un ulteriore sporto, quasi a suggerire una possibile ripetizione dell’edificio all’infinito.

L’elenco potrebbe ancora essere lungo e un po’ ripetitivo. Propongo qui una galleria delle ali che non ho finora citato, e di alcuni interni.